Negli ultimi giorni ci è stato detto e ripetuto che dobbiamo restare in casa: è un concetto ovvio, normalissimo, che dovremmo sentire protettivo. Quando un virus (qualsiasi virus) si sta diffondendo la procedura più efficace per evitare che arrivi a troppa gente, noi compresi, è stabilire una temporanea distanza tra noi e gli altri: durerà quanto necessario, non sarà eterna, ma potrà essere considerata una procedura amorevole e di prevenzione primaria.
Nei decenni della parola prevenzione sbandierata anche a sproposito, ecco che finalmente arriva un’indicazione chiara, senza sfumature interpretabili: per qualche giorno restate in casa, evitate i contatti fisici, non esponetevi al rischio del contagio.
Eppure la domanda più frequente dai miei pazienti, dai conoscenti, da chi mi ha scritto qua e là nei social network, è: posso uscire per…? E’ la domanda che nasce dal bisogno estremo di sentirsi un’eccezione: ciò che vale per gli altri non deve valere per me.
A nessuno piace che qualcuno imponga un comportamento: saremmo scontenti anche se ci ordinassero di restare fuori tutta la notte, ci arrabbieremmo perché non lo abbiamo scelto liberamente. E’ giusto, è nella nostra natura: dobbiamo usare il libero arbitrio che per fortuna abbiamo. Oggi, tuttavia, si sta presentando una di quelle situazioni destinate a modificare il volto della società, a influenzare i nostri desideri, le paure, i sogni, i progetti futuri: è un virus che ignora le questioni di principio che ci animano e la nostra smania di essere diversi dagli altri, e gironzola, invisibile, per colpire chi trova sul cammino.
A ogni regola bisogna trovare l’eccezione, e ognuno oggi si sente quell’eccezione: questo è il mio sentire, in risposta ai tanti che vogliono sapere da me se, da soli, possono uscire da casa per fare questo o quello. La risposta è ovvia: se tutti escono da soli, non sono più da soli.
Non potremmo, per una volta, pensare davvero a un noi reale e tangibile? Mai come oggi la salute dell’altro garantisce la nostra! Quando usciamo, protetti dalla falsa certezza di essere a distanza e isolati dal contatto, incontriamo altri che, come noi, hanno deciso di essere eccezioni alle regole: la distanza si accorcia, i passaggi fuggevoli a meno di un meno esistono e sono frequenti, il respiro scambiato sui volti o negli occhi è questione di attimi. Ecco che la smania di essere diversi dal gruppo (gruppo che, invece, secondo noi dovrebbe rimanere a casa) ci costa molto caro.
La nostra salute, la salute mia e di ogni singolo lettore di questo breve pensiero, dipende da tutti: dipende da chi dice di avere fatto la guerra e tanto chi se ne frega, da chi è convinto – bontà sua – di mangiare o pensare o muoversi in modo preventivo, da chi esorcizza canticchiando e da chi drammatizza ma in farmacia si tira giù la mascherina per raccontare di avere avuto la tosse, e meno male che è passata (quindi non era il virus, un cugino l’ha avuto e aveva sintomi diversi). Siamo sempre pronti a sentirci diversi, unici, eccezionali: lo siamo, ma stiamo usando malissimo questa certezza. E’ il momento di fare vedere che abbiamo capito, di smettere di scappare da casa e da noi stessi per cercare fuori il sollievo di non doverci guardare dentro. Quando si tratta di salvare i nostri figli, i genitori, il/la partner, gli amici dal contagio non possiamo più contare sulla falsa immunità dell’eccezione: restiamo in casa e usiamo bene il tempo, abbiamo tanto da fare, immaginare, creare, dire. Il mondo che arriva domani aspetta che decidiamo di inventarlo.