Tutti hanno paura: l’essere vivente possiede segnali di allarme utili e naturali la cui valenza andrebbe accettata per ciò che è. La paura è un segnale, e tale segnale è percepito, interpretato ed elaborato in base all’unicità di chi la prova: se incontrate qualcuno che afferma di non avere mai paura dubitate o siate tristi, sta sottovalutando uno dei più efficaci messaggi che la Voce interiore invia in caso di pericolo. Chi invece vive eternamente spaventato commette l’errore opposto, con esito probabile identico: si perde il valore del segnale, lo si disperde in mille allarmi ridondanti e vuoti.
Il problema, con questi segnali vitali, è che si possono rievocare, rinforzare, ingigantire, minimizzare: siamo esseri perfetti e meravigliosi, con il pensiero, le parole e le emozioni possiamo fare tutto. Pensando, parlando e provando emozione plasmiamo il mondo che vediamo, sentiamo, possediamo. Possiamo creare malattia fisica, risanarci, possiamo aiutare, costruire o disintegrare noi stessi e gli altri: ecco perché è ormai finito il tempo (peraltro durato pochi decenni) della medicina che sottovaluta le parole.
Pochi giorni fa ho pianto la morte di un caro amico: si chiamava Aron Goldhirsch e non era solo un oncologo di bravura mondiale, ma anche (e – per me – soprattutto) un mago della comunicazione. Perché ve lo racconto? Il motivo è evidente: nella mia pratica medica e psicoterapeutica quotidiana un raro esempio di comunicatore medico eccellente che se ne va è una tragedia. Lo è per tutte le persone che non potrò più inviargli, con la certezza che riceveranno visite lunghe abbastanza, scientifiche abbastanza, empatiche abbastanza, intelligenti abbastanza da avviare il processo della guarigione interiore e, si spera, fisica. Aron scovava trovate geniali per dire l’assoluta verità in modo che potesse contribuire alla cura e non alla morte dei pazienti.
Le parole sono ugualmente importanti rispetto ai farmaci, alla chirurgia, alla radioterapia, agli antivirali, alla medicina convenzionale e non convenzionale, all’igiene personale. Vi siete mai chiesti come mai la psicoterapia e le vie sciamaniche ed esoteriche usino tanto il silenzio e le formule verbali, i canti e la vibrazione sonora? Vi siete chiesti perché alcuni pazienti affetti da malattie fisiche gravi vivano di più e meglio attribuendo il merito alla relazione con i medici e gli infermieri? Non si tratta solo di invocare empatia, resilienza e approcci modaioli ai pazienti: si tratta di avere compreso la profondità e l’equivalenza tra medicina convenzionale e parole di cura.
Comunicare sul Coronavirus non è così distante dall’ambito oncologico. Anche in questo caso si tratta di raggiungere la consapevolezza, una consapevolezza che dal punto di vista dei dati scientifici evolve ogni giorno e non può possedere certezze. Come dicevo a Ottoemezzo da Lilli Gruber, il Coronavirus non è la peste nera ma neanche un’influenza: è un virus, è mutevole e poco prevedibile, ha la capacità invisibile e subdola di propagarsi colpendo molta gente. Di Coronavirus si può guarire nella maggioranza dei casi ma si può stare molto male prima di ritornare sani, e si può morire: abbandonando per un istante l’inutile ricorso a statistiche ondivaghe e soggette all’interpretazione libera di ognuno, il confronto con il Coronavirus oggi ha a che fare con le parole che usiamo per pensarlo, definirlo, raccontarlo.
Non paragonate mai voi stessi ad altri, soprattutto quando alludete alla salute e alla malattia, e non fatelo nemmeno quando tentate di attribuire un valore di gravità o leggerezza a un virus o a qualunque altra minaccia per il benessere e la vita umana: siamo molto più di così, siamo in grado di comprendere le sfumature e la specificità unica delle situazioni che ci capitano. Non serve aggrapparci alla sottovalutazione (“è una specie di influenza”) o alla drammatizzazione (“altro che influenza, vedrete…”): è utile fermarsi, fare silenzio dentro (e intorno, almeno per un po’) e osservare le emozioni che affiorano.
Per non permettere a un’unica emozione di dominarci (la paura, per esempio) dobbiamo affidarci a noi stessi e osservare senza giudizio ciò che abbiamo dentro: scopriremo di ospitare un universo immenso, dove la paura si affianca alla speranza, alla fiducia, alla gioia, al dolore, all’ansia, allo sconcerto di fronte all’ignoto. Ciò che non sappiamo rende caotiche le parole di chi dovrebbe guidarci: è inevitabile, questa situazione ha una percentuale di ignoto, di non prevedibile, e questo va accettato. Ma dentro di noi vive un Guaritore, una Guida saggia che può confortarci e accompagnarci in un percorso inaspettato e, a tratti, traumatico (perché non ce lo aspettavamo). Ascoltiamola! Se non siamo capaci (anche se non è vero) facciamoci aiutare da chi sembra possedere la calma necessaria.
Chi interagisce con questa nostra Guida interiore? Chi sa ascoltarla e sussurrarle domande adatte? La vibrazione della voce, la vibrazione del silenzio, le parole giuste con il tono e il momento corretti. Le parole oggi sono la priorità, insieme alla medicina convenzionale e integrata.
State attenti alle parole che accettate come vere, state attenti alle parole che donate: sono responsabilità pesantissime, e sono equivalenti ai farmaci.