Impieghiamo troppo tempo nella pianificazione di eventi e comportamenti che non si verificheranno mai: programmare, stabilire una scaletta di azioni funge da momentaneo ansiolitico, ma quasi mai si rivela aderente alla realtà. Niente è programmabile fino in fondo, non solo perché esiste una normalissima discrezionalità nel vivere, ma perché nella maggioranza dei casi l’illusione programmatrice non è basata sulla consapevolezza.
“Ragionarci su” non è essere consapevoli: manca, nell’uso esclusivo della razionalità, la potente fase del sentire.
Siamo capaci di imprimere una direzione agli eventi in modo naturale solo quando usiamo tutte le nostre facoltà e concediamo spazio alla saggezza interiore: il pensiero, infatti, deve essere accompagnato, sostenuto, potenziato dalle emozioni. Il cervello e il sistema nervoso funzionano a più livelli, tutti necessari: in quale momento storico la civiltà occidentale si è convinta che buttare fuori l’istinto e l’emozione fosse una buona idea? E’ diventato automatico ritenere che la cosa migliore sia cercare razionalmente le cause per ciò che proviamo o incontriamo: è impossibile, ogni volta che ci fermiamo a ragionare attribuendo la responsabilità a eventi o relazioni del presente o del passato stiamo sbagliando. Quante volte di fronte a uno stato d’animo, a un’emozione potente e imprevista, a un atteggiamento, a una svolta inattesa tendiamo a cercare IL motivo? Ci arrovelliamo e stabiliamo che qualcosa è accaduto perché… Niente, dovremmo sospendere il giudizio e respirare, cercare la calma della mente e distrarci con altro.
La salvezza sulla Via della Cura non è interpretare, ma sentire, senza penetrare i vicoli pericolosissimi del ragionamento. Sentire aiuta a raggiungere la consapevolezza che serve. Sentire, senza tentare di spiegare. Chi viene da me in studio è invitato, nel percorso che insieme stabiliamo, a lasciare affiorare da sé la sensazione di “mi piace, non mi piace”: è un esercizio facile che non prevede la fase razionale successiva del “quindi farò così”. Chiedo ai pazienti di dedicare cinque minuti al silenzio e allo sguardo interiore, per accogliere la sensazione su ciò che piace e ciò che non piace: si osserva il processo, si sente con tutto il corpo fisico l’emozione che ne deriva e si lascia andare.
A scuola, in famiglia, in ogni contesto sociale siamo stati educati a farci andare bene le cose non gradite: il cibo, i vestiti, le persone, i luoghi; sembrava che esercitare la virtù significasse non dare retta alla Voce interiore che ci metteva in guardia dal frequentare qualcuno o qualcosa in dissonanza da noi. Sei adulto se ti fai piacere tutto, o quasi. Crescere, evolvere sembra significhi digerire l’indigeribile, trasformare un “non mi va” in un “mi piace tantissimo”. Non è sano: dovremmo essere consapevoli delle situazioni che, senza una spiegazione razionale (che non va cercata), fanno scattare l’allarme nel sistema energetico. Dovremmo accettare che non tutti ci sono affini. Non significa spaccare il mondo con un machete e neanche trattare male chi vibra dissonante: significa sapere, ma sapere davvero cioè usando il sentire, cosa ci fa stare bene o male, e lasciare che il comportamento nasca di conseguenza.
Dentro di noi esistono risposte immense che mai la ragione saprebbe inventare: sappiamo sempre cosa fare e dire, siamo pronti ad agire senza il bisogno della premeditazione, e quando assecondiamo l’istinto non commettiamo errori, non offendiamo nessuno e non spacchiamo muri che andrebbero preservati. Una saggezza innata si attiva quando lo permettiamo: chiederci cosa non ci piaccia e abbandonarci semplicemente a questa sensazione la attiva e le dà mano libera, parcheggiando in un punto innocuo i possibili danni che deriverebbero da una programmazione razionale sul da farsi.
“Sì, sono arrivato a capire che questa situazione non mi fa bene, ma poi non sono capace di agire come dovrei per allontanarmi”: quante volte sento dire così! E il motivo è solo uno: all’esercizio sano e positivo di ascoltare se stessi si accoda, automatico, il lavorio mentale su come togliersi dalla difficoltà. Fermare la tortura razionale e invocare il silenzio che ci abita avendo fiducia che le soluzioni nasceranno spontanee è parte integrante della Cura.