Quindi cosa devo fare? La domanda che uccide la psicoterapia

Le modalità veloci (frettolose) della comunicazione non vanno bene se si vuole guarire la psiche.

Si chiede un percorso psicoterapeutico e al massimo alla terza seduta si domanda: “Quindi cosa devo fare?”.

E’ l’errore più comune e sconfortante: credere che una terapia incolli nella mente un paio di trucchetti per oltrepassare un ostacolo. Ma l’ostacolo è l’iceberg che ha affondato il Titanic: ha una parte in superficie (e per quella può anche andare bene qualche indicazione strategica) e una parte profonda.

Affrontare una difficoltà richiede la consapevolezza che ogni disagio abbia un aspetto profondo.

Esattamente come un iceberg, il problema psichico non può essere considerato guarito con un approccio fulmineo che ne lasci intatta la profondità. Cosa c’è sotto? Cosa ha provocato davvero il problema? Perché alcuni eventi della vita hanno sconvolto l’equilibrio in quel modo e non in un altro? Sono domande necessarie che non possono trovare risposte rapide e solo razionali.

Non è la mente razionale a risolvere i disturbi di ansia, depressione, rabbia, insonnia, lutto.

La razionalità inventa pretesti e scuse e crede di avere una risposta plausibile, ma – chissà come mai – i disturbi restano uguali. E’ semplice: non è lì che si trova la spiegazione. Per accedere alle risorse interiori e a ciò che chiamiamo inconscio è necessario un tempo adeguato, non compatibile con la domanda frettolosa “quindi cosa facciamo?”.

Sempre più pazienti arrivano con una schermata chatGPT che suggerisce i rimedi e le strategie per uscire da un disagio psicologico. Benissimo, ma poi? Come mai quell’elenco di ragionamenti non attecchisce nella persona, non genera la guarigione?

Quando leggo le prescrizioni del dottor chatGPT mi vengono in mente le diete ipocaloriche degli ospedali: 1600, 1400, 1100, 900 calorie. E nessuno riesce a seguirle per una settimana intera. E’ la stessa cosa: un lavoro psicoterapeutico richiede la pazienza, l’impegno personale e il rispetto dei tempi della cura.

Di recente mi sono sentita chiedere, alla terza seduta, in un cammino psicoterapeutico per gravi attacchi di panico: “Quindi cosa devo fare?”. Fretta, sempre fretta. Ho compreso la preoccupazione sottostante, ma per qualche istante mi sono sentita sconfortata: importa di più cancellare i sintomi per un periodo che sarà ovviamente limitatissimo o risolvere il problema avendo eliminato sul serio le cause sottostanti?

Se è vero che è la relazione terapeutica a curare, dobbiamo darle il tempo di nascere e svilupparsi.