A un certo punto una porta si apre: accade di notte o durante il giorno, nei momenti di quiete o con la complicità di un tormento che ha scosso la calma apparente. Spesso sono le immagini a fornire la chiave per la serratura: può trattarsi di un sogno oppure di una visione, di uno scorcio del paesaggio o di un oggetto, animale, pianta o persona che capitano per caso e spalancano spazi che non hanno mai avuto voglia di manifestarsi.
Ciò che importa è il flusso emotivo: la porta si apre e una determinata emozione inizia a fluire, e ci rendiamo conto di quanto sia reale usare l’acqua come suo elemento simbolo.
Viviamo in un sistema mentale convinto che alcune emozioni siano la malattia e non il segnale della cura: ansia, paura, rabbia (per portare i tre esempi più noti) sono da soffocare o cancellare con la massima rapidità perché non servono a niente e creano danno, disadattamento, disagio. La realtà è opposta: il sistema psicofisico non crea niente per caso, soprattutto non lo fa con cattiveria o per danneggiarci. Lo sgorgare delle emozioni fa parte di un lavoro spontaneo che coinvolge segnali nervosi, ormoni, neurotrasmettitori, mediatori chimici che raggiungono gli organi e gli apparati del corpo. Perfino l’ansia, sgradevole sicuramente e nella maggioranza dei casi scacciata con le tecniche più disparate, non compare senza avere un senso: negare questa evidenza significa non avere capito ciò che siamo.
Di recente una mia paziente ha raccontato che il Maestro spirituale che segue suggerisce di affrontare le emozioni negative “cancellandole” con la respirazione: concordo con l’importanza critica del respiro nell’affrontare le crisi di ansia, ma non con l’uso del verbo “cancellare”. Assomiglia tanto a “rimuovere”, cioè agire con un processo malato per tentare di guarire.
Quando il sistema inconscio mostra un’immagine o ce la fa notare nel mondo esterno e una porta emotiva si apre c’è un’unica soluzione efficace: non giudicare ciò che accade e lasciare che sia. Si può fare: ci si può mettere nello stato di ricezione bloccando il tentativo di scacciare l’emozione che si sta manifestando e impedendosi anche di rimuginare, ragionare sul processo e sulle probabili cause.
Guardare e prendere atto della porta emotiva e del flusso di un’emozione che, come acqua, sta uscendo è la cura e la risorsa per scoprire quale altra strada la vita stia mostrando, quali svolte siano possibili e quale talento innato abbia deciso di manifestarsi.
Non sono contraria ai farmaci: li prescrivo quando li ritengo necessari, in ogni contesto medico che mi riguardi. Ma sull’idea che la porta emotiva vada chiusa a doppia mandata e i suoi segnali sepolti sotto cumuli di tecniche, farmaci, erbe e comportamenti reattivi non mi troverete mai d’accordo.