“Parla come ami”: le parole che chiudono in casa

Mi auguro che non sia mai accaduto che un mio commento, sfuggito chissà come al controllo, abbia ferito qualcuno tanto da spingere lei/lui a limitare le uscite da casa, le presenze agli eventi interessanti, la partecipazione attiva alla vita. Se fosse successo vorrei precipitarmi a chiedere perdono e tentare di riparare in qualche modo al gravissimo danno che ho provocato.

Nel libro “Parla come ami”, che esce tra pochi giorni per i tipi di Mondadori (31 agosto), le parole sono vibrazione di cura, contenuti da trasmettere, esercizi e giochi leggeri, mantra da tenere in tasca per manipolare positivamente l’energia. In un capitolo, da qualche parte, racconto un episodio che ha riguardato me e il mio corpo fisico, e proprio quel passaggio è ritornato alla mente oggi mentre meditavo rilassata davanti alle rose rosse in fiore.

Commentare il corpo altrui significa prendere la mira e centrare l’essenza, fare sentire amati oppure no, dare o togliere valore a tutto ciò che la persona è: anche chi ha una visione spirituale della vita possiede un principio segreto di equilibrio che riguarda l’aspetto materiale incarnato, principio che vacilla e a volte si frantuma quando la vibrazione delle parole.

In studio seguo alcune donne che, avendo sofferto per un disturbo alimentare, hanno ricevuto cure per uscirne. Nel lungo periodo che segue la guarigione degli episodi acuti la ricostruzione è una ricerca costante della fiducia in sé, insieme all’archiviazione definitiva di moltissime frasi che, arrivate da ogni parte nel corso dei mesi e degli anni, hanno destrutturato, rosicchiato, rovinato l’immagine di sé. Può sembrare strano, ma la parte che riguarda i commenti degli altri è tra le più difficili da eliminare e/o guarire.

Dovremmo stare attente/i alle parole, sempre. Anche quelle che si nascondono dietro gli sguardi, i silenzi tesi, le liti per motivi trascurabili. Se in fondo a un comportamento aggressivo esiste un giudizio sul corpo fisico la ferita che rischiamo di aprire va a sommarsi a mille altre ferite già presenti, mille momenti nei quali si è desiderato fuggire, nascondersi, morire: chi patisce il proprio aspetto ha considerato quasi ogni giorno di uscire dalla vita per sfuggire alla propria incapacità di rimediare in altro modo.

Per esempio, rimproverare chi non riesce a mantenere un’alimentazione regolare e ingrassa o dimagrisce molto non è uno stimolo, è uno sfogo della propria incapacità di aiutare: non serve per spronare, come molti vogliono illudersi, ma troppo spesso provoca una frana irrimediabile che porta a valle, anzi sotto il livello della terra, la considerazione di sé, quindi la capacità di reagire. Pochissime persone, se spronate con prediche o addirittura con atteggiamenti sprezzanti o umilianti, sanno davvero reagire ridestandosi da un torpore che sta impedendo loro di vedersi, amarsi, curarsi. La domanda vera dovrebbe essere: perché stai così, quale dolore, blocco o rabbia ti sta danneggiando?

Perché il principio è solo uno: l’amore. Se amo qualcuno lo faccio a prescindere dal suo corpo fisico: amo chi non ha i capelli, chi ha i denti storti, chi ha troppo o pochissimo peso, chi cammina dritto e chi non cammina proprio. Se manifesto con chiarezza e crudeltà che il corpo fisico di chi ho davanti mi provoca rabbia, tristezza, ribrezzo sto porgendo un solo, unico messaggio: non sei degno/a del mio amore. E come si pretende, allora, che chi non è amato tenga a se stesso/a e si curi?