Quando ci comportiamo in un modo che sappiamo essere contrario alle altrui volontà e speranza archiviamo da qualche parte l’esperienza e le emozioni conseguenti e tentiamo di non ricordarcene più. Il fatto è che niente si perde: anche chi crede di possedere una scarsa memoria vive, intatto, il miracolo del ricordo istintivo impresso nelle cellule, negli spazi intercellulari, nelle vibrazioni energetiche, nel buio silente di ciò che definiamo inconscio.
Il sistema energetico umano non dimentica mai veramente: fa solo finta, e al momento opportuno tira fuori elementi che si credevano perduti per riproporli carichi di pathos. Ecco dove nascono i sensi di colpa, compagnia perenne nei cambiamenti di vita, nei lutti e nelle rivoluzioni dei sentimenti.
Conosciamo le nostre azioni, i silenzi e le parole: nella maggioranza dei casi riusciamo a catalogarli senza carichi pendenti perché non scatta il censore interno (e se scatta troviamo la scappatoia giusta per zittirlo), ma a volte queste operazioni mentali ed emotive sono meno facili. La verità è che esistono momenti nei quali crediamo di agire con la solita noncuranza, ma “qualcosa” carica di energia l’evento e lo rende una pietra miliare. Dobbiamo badare a quel “qualcosa”, fare due passi indietro e osservarci abbastanza da sapere che permettiamo a noi stessi di giudicare con istintiva e inutile ferocia ciò che facciamo, infilando poi quel giudizio in una camera blindata dentro di noi.
Ci portiamo dietro per giorni, mesi e anni una memoria taciturna ed efficace che ci ha condannato all’inizio, quando abbiamo trattato male qualcuno o tradito la fiducia del partner, e finge di dormire: quando siamo più fragili, cioè emotivi per un lutto, un trauma, una difficoltà o un cambiamento che riguarda la persona coinvolta nel ricordo scatta la rappresaglia.
E non c’è un ordine di grandezza: figuratevi che non riesco a smettere di sentirmi in colpa per avere bruscamente negato a mio papà l’esperienza dell’assaggio delle tagliatelle stracotte con il parmesan come contorno per la bistecca quando venne a trovarmi in Belgio. In realtà gli salvai la vita (non so se avete presente), ma per me quel ricordo è un senso di colpa inesauribile.
La caratteristica fondamentale dei sensi di colpa è essere inutili: non sono consapevolezze, sono tormenti che tendono a ostacolare. Non si tratta di fingere di avere sempre agito bene, ma di comprendere che l’emotività ha piazzato una luce rossa accesa su alcuni dettagli: sta a noi impedirle di risplendere in eterno.
I sensi di colpa sono inutili perché ogni passaggio dell’esistenza è come è, non serve immaginarlo diverso in un logorio mentale e del cuore. Viviamo ogni istante come meglio riusciamo: che sia o meno una scelta consapevole, non ha senso archiviare ogni azione, parola e pensiero insieme a un timbro di adeguatezza da parte della censura interiore.
Se fossi stata capace di agire diversamente l’avrei fatto, ma nelle circostanze di quel giorno, a quell’ora e a quel minuto, ho saputo solo comportarmi così: questa dovrebbe essere la riflessione, senza che ci si perda nei meandri delle ipotesi di azioni alternative che, di fatto, non sono avvenute. Il passato insegna e costruisce, ma è nell’oggi che viviamo: sentirci in colpa per le omissioni o per i dolori che sentiamo di avere inferto a qualcuno è una lezione necessaria, ma temporanea. Come tutti i Maestri, deve fare comprendere il messaggio e passare oltre.