Sono sempre più convinta che il tempo che stiamo vivendo richieda che la psicoterapia e lo studio delle emozioni siano rivolti a soluzioni pratiche, a esercizi e consapevolezze capaci di mostrare il proprio risvolto benefico concreto sulla realtà quotidiana. La Cura non può essere solo teoria, ma dovrebbe offrire strumenti utili a lavorare su di sé e dentro se stessi.
La notte scorsa ho avuto il tempo e l’opportunità per riflettere su un’obiezione che ricevo spesso: alcuni suggerimenti sono belli ma difficili da mettere in pratica perché ci si sente prigionieri della mente. La mente fa ciò che vuole: è questo l’assunto che motiva tali obiezioni. In effetti, l’apparenza dà ragione al timore di non riuscire a dominare i pensieri e soprattutto la loro interpretazione: non è ciò che pensiamo a creare il danno, ma il tipo di percezione che ne traiamo. Uno stesso evento può essere positivo, negativo o quasi neutro in base alla lettura che ne diamo. Tuttavia, non è così vero che si sia prigionieri dell’attività mentale.
La notte scorsa rientravo a Milano dopo una cena a Crema: per me è una strada nota, la percorro ogni settimana. A un certo punto ho deciso di deviare e di imboccare l’ultima parte della Tangenziale Esterna, ritenendo che fosse il percorso più rapido e stanca delle irregolarità dell’asfalto che sulla Paullese rendono la Smart una scatola rumorosa esposta al continuo rischio di frantumarsi: ho oltrepassato il casello senza notare avvisi, ho percorso qualche chilometro per poi scoprire in prossimità dell’uscita di Milano che l’avrei trovata chiusa. L’unica possibilità era andare a Lodi usando l’autostrada A1, uscire e ritornare indietro. Peccato che sull’autostrada, a metà tra Milano e Lodi, ci fosse un incidente: insieme a una quantità di automobilisti tedeschi e italiani sono rimasta ferma per almeno due ore e mezza.
Nel tempo trascorso seduta nella Smart, osservando il temporale e la gente che azzardava passeggiate ed esercizi di equilibrismo sulla massicciata che separa le carreggiate, ho potuto constatare che è davvero possibile diventare gli spettatori della propria attività mentale. Ciò che importa realmente è decidere di farlo. Ho avuto chiaro che non esistessero alternative: mi trovavo imbottigliata in un blocco e non avevo alcuna possibilità di procedere avanti o ritornare indietro. Mi è anche risultato evidente che non impazzire per l’ansia e il senso di prigionia sarebbe dipeso da me: ho inserito istintivamente la modalità di autoprotezione.
Ho deciso di lasciare che la mente si esprimesse sotto la mia osservazione: sapevo che alcuni pensieri sarebbero stati utili, altri nettamente controproducenti.
Ho iniziato a controbilanciare in questo modo:
- notavo che il pensiero della casa che mi aspettava creava ansia, quindi ogni volta che la mente produceva questa considerazione afferravo il cellulare e cercavo sms da leggere, messaggi email da evadere;
- mi accorgevo che il camion davanti a me e quello dietro suscitavano un senso di soffocamento e di pericolo (una Smart tra due autoarticolati), così spostavo lo sguardo a sinistra dove una comitiva di tedeschi camminava e chiacchierava mangiando panini, sceglievo di osservare minuziosamente il vestito di uno di loro a turno;
- mi interrompeva la rabbia di non avere percorso neanche un metro avanti, neanche cinquanta centimetri, e allora pensavo che l’incidente doveva essere tanto grave e qualcuno sicuramente stava molto peggio di me (non era logico prendermela, anzi ero fortunata a essere lì incolume);
- mi assaliva il dubbio che la Smart si sarebbe guastata, il temporale sarebbe peggiorato e forse qualcosa di brutto sarebbe accaduto, e reagivo osservando con gratitudine la protezione che la macchina mi stava dando, il serbatoio pieno, il cavo di ricarica del telefono cellulare che mi stava garantendo di non restare senza comunicazioni possibili.
Non ostacolavo l’insorgere delle paure e dei motivi di ansia: semplicemente li guardavo e, con calma, mi spostavo da lì. Perché avevo deciso di curarmi di me, di non permettere agli eventi di farmi crollare sotto il peso dell’angoscia. E la mente ha collaborato: da un lato tentava di imprigionarmi, dall’altro cooperava dell’osservare se stessa e nel mettere in atto strategie diversive.
All’arrivo a casa, dopo tre ore e mezza, ho pensato che vi sarebbe stato utile leggere questa esperienza concreta: in fondo l’ansia riguarda tutti, e un metodo in più per affrontarla può portare spunti a chi cerca una via.