E’ una giovane donna, bella nel fare e nel dire e nel corpo fisico che con sobrietà indica mentre racconta di sé. Ha chiesto un appuntamento nel mio studio dopo avere letto “Il Grande Lucernario”, è entrata e non ha sistemato gli esami sulla scrivania: li ha lasciati nella borsa, lontano da noi. Vuole che veda lei, non la carta ufficiale firmata dagli specialisti che ne rappresenta solo una parte.
Piange, ha iniziato subito a piangere: si sente tradita e teme di morire. Piano, uso il tempo: la ascolto, pongo domande che non la indirizzino ma semplicemente sostengano il flusso delle emozioni che escono, premono, si accavallano.
Chi l’ha tradita? Le sue certezze, la convinzione che non ha retto: spiega di avere lavorato per anni con alcune tecniche olistiche (non le cito, ma le conosco e ho nei loro confronti rispetto e interesse, senza che vi sia beatificazione), di essersi pulita la mente e il cuore e di avere consolidato il Ben-Essere del corpo e della mente.
-Poi ho scoperto il nodulo al seno. Un tumore. Capisce, come è possibile?
-Era impossibile, secondo lei?
-Avrebbe dovuto esserlo. Se la malattia è un disequilibrio, una distonia energetica, un… No, non so come dire. Forse non mi spiego. Lavoravo su me stessa, sui pensieri, sulle credenze. Mangiavo come si dovrebbe, avevo una vita che…
Non prosegue. Sa che ho compreso, e mi dispiace per lei: nascondo dietro un piccolo distacco lo stesso dolore che provo ogni volta di fronte a chi si era aggrappato a un rimedio, a una via, a una filosofia ritenendoli assoluti e deve ricredersi perché una malattia arriva e butta in aria tutto. E’ la gigantesca illusione di chi si ferma a osservare il dettaglio e non l’insieme, è l’esito della paura che tutti abbiamo di ammalarci e soffrire. Si afferra una boa in mezzo al mare e ci si convince che non potrà accadere niente di male.
Quando la giovane donna esce con un sorriso e l’appuntamento per il prossimo incontro, dedico a me stessa i cinque minuti canonici di separazione tra una visita e l’altra: gironzolo muta in Facebook e vedo dichiarazioni entusiastiche, rimedi proposti come risolutivi e salvifici, tanta autopromozione che sottilmente sfrutta l’altrui dolore. E mi chiedo come si possa evolvere, così: gli esseri meravigliosi e complessi che siamo stanno facendo ogni sforzo per osservarsi con occhiali ciechi, con il paraocchi. Non esiste una tecnica che possa metterci al riparo da meccanismi patologici che conosciamo solo in parte, il mistero che alberga in noi è molto più potente di qualunque convinzione. Non significa che ci ammaleremo tutti, è esattamente il contrario: significa che se vogliamo trovare la Via della Cura dobbiamo aprire e non chiudere, smettere di barattare l’onestà scientifica e spirituale con pochi grammi di notorietà nel nome di questa o quella terapia scientifica o alternativa che propagandiamo come miracolosa. Aprire e non chiudere, spalancare la mente e il cuore e lavorare insieme! Essere curiosi sarà l’ingrediente segreto.
-Guardami, ho ragione! Sono io a sapere come si resta in vita, come si diventa eterni, come ci si guarisce. Guardami, scegli me.
L’anima è eterna, il corpo non lo è: possiamo scegliere il meglio, ma prima o poi usciremo dal vestito di pelle e organi e sangue e linfa che ci rende presenti nell’incarnazione. Siamo energia vibratoria, e la vibrazione varia in base alla parte di noi che stiamo considerando: ecco perché non è possibile che una sola filosofia risolva ogni problema. Chiunque può ammalarsi: chi lavora in ambito oncologico lo sa, non esiste un comportamento che renda immuni (anche se la prevenzione giusta aiuta ad aumentare le probabilità di guarigione).
La guerra in atto non funziona, non si sta andando nella direzione della Cura. Tutto serve: la medicina cosiddetta ufficiale (come se ne esistesse realmente un’altra) ha raggiunto traguardi che non si possono buttare via, gli approcci integrativi sono drammaticamente importanti perché la affiancano aumentane le capacità di cura. Ma con operatori olistici che sparano su ricercatori che nemmeno conoscono, non possedendo magari le basi scientifiche per giudicarli, e scienziati ipersicuri di se stessi che svillaneggiano le filosofie terapeutiche antichissime degli sciamani senza chiedersi se contengano segreti preziosi non aumenteremo il nostro livello di consapevolezza. Mai.
Quando mi si contatta proponendomi collaborazione o presenza a eventi chiedo: “Quanta esperienza hai di pazienti, quelli veri?”. So che è una domanda che appare presuntuosa, ma per me è fondamentale: la Via della Cura è concretezza, anche quando si percorre per una guarigione interiore. Se non conosci il dolore e non ti chiedono di lenirlo ogni giorno, se non ammetti mai il fallimento e la sconfitta, se non dichiari che esista la luce ma ci siano anche tante ombre sconfortanti difficilmente riusciremo a capirci.