Aiutare gli altri: il limite è amore

Uno dei problemi più frequenti per chi sta aiutando qualcuno è riconoscere il limite entro cui agire. L’apertura del cuore e l’amore incondizionato sono la base imprescindibile, e proprio grazie a questi due elementi dovrebbe diventare chiaro quando, come e dove fermarsi.

Il percorso personale è sacro e inviolabile: aiutare non significa imporre la propria visione di ciò che sia meglio per l’altro, ma fornire in scienza e coscienza (se medici e infermieri) e in amore (in tutti i casi) il supporto concreto, psicologico e affettivo.

Il Bene dell’altro ci è ignoto: il giudizio su quanto sia giusto o sbagliato, pericoloso o meno non ci riguarda. Ci riguarda invece ascoltare, osservare, comunicare amore e presenza fisica e di anima.

Troppe volte l’aiuto è donato con alcune aspettative:

  1. che ci sia una ricompensa affettiva, gratitudine
  2. che l’altro segua esattamente le nostre indicazioni (che chiamiamo suggerimenti, fingendo di lasciare libero l’altro)
  3. che l’aiuto crei amore al di là di una naturale condivisione tra persone
  4. che il risultato dell’aiuto sia quello che desideriamo, avendo giudicato cosa sia meglio per chi stiamo soccorrendo

Non conosciamo il Bene dell’altro, non sappiamo su quale percorso si muova e quali siano le dinamiche che lo spingono: anche per chi ci sta accanto da anni il margine di errore è enorme. Esistono crisi catartiche, positive, prove da affrontare per evolvere (anche al prezzo del temporaneo dolore) e decisioni che, pure sbagliate per noi, sono la salvezza per chi abbiamo di fronte. Non abbiamo gli strumenti e nemmeno il diritto di giudicare.

Il migliore aiuto è gratuito nelle aspettative (che dovrebbero essere pari a zero), libero e non soffocante: aiutare è anche fare uno o due passi indietro se si percepisce che la propria presenza diventa una dipendenza dell’altro, che – aggrappato a noi – non evolve.