Uno dei problemi più frequenti per chi sta aiutando qualcuno è riconoscere il limite entro cui agire. L’apertura del cuore e l’amore incondizionato sono la base imprescindibile, e proprio grazie a questi due elementi dovrebbe diventare chiaro quando, come e dove fermarsi.
Il percorso personale è sacro e inviolabile: aiutare non significa imporre la propria visione di ciò che sia meglio per l’altro, ma fornire in scienza e coscienza (se medici e infermieri) e in amore (in tutti i casi) il supporto concreto, psicologico e affettivo.
Il Bene dell’altro ci è ignoto: il giudizio su quanto sia giusto o sbagliato, pericoloso o meno non ci riguarda. Ci riguarda invece ascoltare, osservare, comunicare amore e presenza fisica e di anima.
Troppe volte l’aiuto è donato con alcune aspettative:
- che ci sia una ricompensa affettiva, gratitudine
- che l’altro segua esattamente le nostre indicazioni (che chiamiamo suggerimenti, fingendo di lasciare libero l’altro)
- che l’aiuto crei amore al di là di una naturale condivisione tra persone
- che il risultato dell’aiuto sia quello che desideriamo, avendo giudicato cosa sia meglio per chi stiamo soccorrendo
Non conosciamo il Bene dell’altro, non sappiamo su quale percorso si muova e quali siano le dinamiche che lo spingono: anche per chi ci sta accanto da anni il margine di errore è enorme. Esistono crisi catartiche, positive, prove da affrontare per evolvere (anche al prezzo del temporaneo dolore) e decisioni che, pure sbagliate per noi, sono la salvezza per chi abbiamo di fronte. Non abbiamo gli strumenti e nemmeno il diritto di giudicare.
Il migliore aiuto è gratuito nelle aspettative (che dovrebbero essere pari a zero), libero e non soffocante: aiutare è anche fare uno o due passi indietro se si percepisce che la propria presenza diventa una dipendenza dell’altro, che – aggrappato a noi – non evolve.