Una delle più grandi scommesse della mia vita è dimostrare che si possa usare la medicina occidentale tradizionale affiancandola in modo serio e ampio ad approcci che, sbagliando, alcuni definiscono alternativi.
Il termine “alternativo” è profondamente inappropriato quando si parla di rimedi, tecniche, cure che la medicina occidentale non ha ancora dimostrato validi (forse perché non li ha studiati): chi sceglie di prendersi cura degli altri non dovrebbe concepire la separazione tra le tecniche di aiuto, ma dovrebbe anzi vivere l’intera esistenza ampliando i propri orizzonti, studiando tutto il possibile per offrire il massimo della preparazione e dell’assortimento nelle terapie offerte alle persone.
Ogni paziente è un mondo affascinante e complesso, non esistono due persone tra loro uguali e non esistono malattie uguali: anche il cancro è una patologia profondamente complessa e non si sono mai trovati due pazienti con identici tipi di tumore. E’ evidente, quindi, che per curare la complessità sia necessaria una preparazione vasta e altrettanto complessa. E’ l’approccio olistico: possedere in modo saldo e aggiornato la medicina cosiddetta ufficiale e integrarla con studi che vanno al di là dei suoi confini. A patto, naturalmente, che si applichi lo stesso impegno usato in medicina per approfondire tecniche complementari: avvicinarsi a un paziente per accompagnarlo nel proprio percorso di recupero dell’equilibrio psicofisico è una responsabilità enorme, che richiede consapevolezza e molta energia spesa nello studio e nel lavoro.